Omologazione non richiesta

La pagina deve essere bianca e il segno scuro. L'idea deve contenere un sogno che sconfini nella passione, la memoria deve avere il coraggio di esistere. Il blogger deve credere di possedere la scrittura: solo così i segni sulla pagina vivranno più a lungo di lui.

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Località: Sicilia, Italy

Scrissi molto e a lungo. Inutilmente poi ho atteso risposte che non arriveranno mai. Scrivo ancora per ricordarmi d’esistere e fermare il suo sapore. Ho deciso di lasciare visibili tutti i commenti, sono parte del blog.Non riuscirò mai a conciliare l’inconciliabile e non c’è più tempo comunque: attraversare tante vite e tanti territori mi ha arricchito e spogliato allo stesso tempo ed io sono siciliano, quando rido ho dietro l’ombra della morte e dell’inutilità, se piango lo faccio di nascosto davanti al mare, l’unico interlocutore assoluto che conosco. Sono figlio dell’ alta borghesia colta palermitana, cresciuto a pane e letteratura, ad urla e silenzi, a scirocco e nebbie lombarde, a Mozart e beat generation: per lungo tempo ho creduto che fosse possibile vivere tutte queste sinapsisenza strappare la tela della mia vita. E’ una menzogna. OMOLOGAZIONE NACQUE NEL 2008 questa era il suo incipit e questo il suo template originale. Resterà tale, è una questione di affetto.

mercoledì 25 giugno 2025

Non è difesa a oltranza e nemmeno solo snobismo da bastian contrario

Non difendo Israele per partito preso. Non è una questione di schieramenti, né di simpatia. È una questione di verità storica, morale e strategica. Perché Israele non è soltanto uno Stato: è un simbolo. E la sua caduta sarebbe la nostra. 
Verità storica, Israele è il ritorno di un popolo alla sua terra dopo 3000 anni di storia, di persecuzioni, di esili, di pogrom, di Shoah. È la rinascita di una nazione che ha saputo resistere all’annientamento. Non è una colonia, non è un’imposizione. È un ritorno. Chi nega questa verità storica, nega il diritto stesso degli ebrei a esistere come popolo e come Stato. 
Verità morale, Israele è l’unica democrazia stabile del Medio Oriente. Qui i diritti civili esistono e resistono: la stampa è libera, le donne combattono, gli arabi votano e siedono in Parlamento, le persone LGBT vivono senza dover nascondersi. Non esiste un altro luogo nella regione con questo livello di pluralismo. Eppure Israele è odiata. Non perché sia uno Stato oppressore, ma perché è una democrazia che prospera mentre tutto intorno marcisce. Israele è la prova vivente che il Medio Oriente avrebbe potuto essere altro. Ed è questo che non le viene perdonato. 
Verità strategica; difendere Israele significa difendere una prima linea contro l’Iran teocratico, il terrorismo islamico, la barbarie jihadista. Israele è il muro che ancora regge. Se cede, il fronte si sposterà in Europa. E noi non siamo pronti. 
Un mondo ipocrita; oggi si plaude alle donne ucraine che combattono, ma si tace sulle soldatesse israeliane. Si piange per i bambini di Gaza, ma si sorride quando quegli stessi bambini vengono addestrati al martirio. Si invoca la pace, ma si ignora che Hamas e Iran hanno scritto nero su bianco che vogliono cancellare Israele dalla faccia della Terra. 
La posta in gioco, Per questo Israele va difesa. Perché difendere Israele significa difendere la libertà, la civiltà, la nostra identità occidentale. Non c’è bisogno di essere sionisti per capirlo: basta voler sopravvivere. Perché chi oggi tace sull’odio contro Israele, domani tacerà sull’odio contro di noi.

mercoledì 18 giugno 2025

TI SCRIVO-

Ho trascorso una vita a scrivere anche molto prima di incontrarti e tu non mi hai mai letto. Ci siamo avviluppati per un certo numero di anni in una relazione vissuta, gesticolata, agitata dai nostri umori, urlata a muso duro talvolta. Ma mai scritta Se ti avessi scritto e tu mi avessi letto avremmo capito prima e meglio, ci saremmo amati sul serio e non ci saremmo sfiniti nell’impotenza di non sapersi parlare. Quando mi fermo e il tempo è meno crudele con me oppure riesco a licenziarlo meglio, tu arrivi sempre e io mi chiedo da dove spunta questa necessità di te cui non vorrei dare significati tali da farti fuggire lontano in modo definitivo. C’è troppo sapore della tua pelle e dei tuoi capelli nella mia testa, troppo suono della tua voce e troppa inguaribile nostalgia dello sguardo che avevi quel pomeriggio lontano. C’è troppa letteratura vera per questo ho deciso di scriverti. Ora sei abbastanza lontana per leggermi senza il fastidio di dovermi poi dire, so per certo che mi leggerai stavolta; non per capire ciò che non serve più capire ormai. Mi leggerai per amarmi senza condizioni e senza un tempo definito, senza il fastidioso imperativo di pensarmi diverso, mi leggerai per come eravamo. E sorriderai, certamente penserai che in molte cose non sono cambiato e che le mie sospensioni esistenziali finiranno per corrodermi del tutto: che importa? Nella lettera non c’è alcuna richiesta solo una constatazione amichevole di incidente amoroso in una stagione che fu comunque nostra, non c’è altro che la traccia inconfondibile di un desiderio espresso, realizzato e poi perduto. In quello che ti scrivo c’è solo quiete, i furori sono un vecchio amatissimo film che forse potremmo rivedere assieme ridendone con le mani allacciate. Non ti scrivo per raccontarti della scrittura, lo faccio per dirti che ti ho amato e sei rimasta tra le righe. Conserva la lettera
 Enzo

giovedì 12 giugno 2025

CHI MI HA LASCIATO –

C’è una dimensione a parte ormai tra quello che scrivo e quello che si intravede dietro la scrittura….Molti discorsi sono veramente fuori tema ma forse non è colpa di nessuno. E’ estremamente difficile comunicare in modo consono la propria dimensione intellettuale esattamente così come si forma dentro una persona e lo è altrettanto percepirla e “discuterla” laddove tale discussione abbia un senso che vada al di là di un affermazione di esistenza. Niente di ciò attiene al blog normalmente inteso, si avvicina semmai ad un’esperienza da diario cartaceo o addirittura da libro; nessuna di esse vuole sostituirsi nel mio caso a questo blog, qui ed ora. Ho subito un lutto gravissimo e profondo ma chi mi ha lasciato possedeva con naturalezza la misura e la simpatia, nel senso greco della parola, del comunicare e scriverne. Io appartengo ad una generazione più nevrotica e conflittuale che ha mantenuto il fuoco e i suoi effetti devastanti senza avere in cantina buona legna da ardere. Ma non mi rassegno. Mamma, vedi come tutto indifferente scorre? Non sono riuscito a fermare le nostre parole, queste come le altre della nostra vita. I tramonti ad occidente, i libri nella grande libreria di casa, le foto di famiglia e questo vecchio ragazzo che adesso è rimasto solo. Arrivederci mamma. Insegnami a scrivere daccapo con l’allegra pazienza che io mai ho posseduto, sarebbe il miglior modo di spiegare a certi personaggi che si spacciano per il sale culturale del mondo cos’è la vera cultura e come saziare la sete del sapere. Mi dicesti di scrivere molto tempo fa perché sapevi e mi avevi custodito tu. In fondo non ho fatto altro che seguire il tuo desiderio. Era il nostro modo ed anche adesso che le battute cambiano e il ritmo segue un’altra armonia sento che continuare è un buon modo di rispondere alla sua carezza. Farò cosi e lei mi sorridera’… Sorrideva sempre.

giovedì 5 giugno 2025

Giugno altrove

E’ ancora un giugno vivibile e sereno, le fiamme dell’estate incipiente sembrano lontane; desideravo tornare qua, camminare nel silenzio delle prime luci del mattino tra queste strade per farmi rincorrere dalle voci della mia vita lontana. 
Ho bisogno di unità, adesso più che mai, ho bisogno di udire nuovamente mia madre che mi racconta delle passeggiate col bambino piccolo nel passeggino tra i viali del Giardino Inglese o del Giardino Garibaldi, rivedere il cielo sopra la mia città, risentire nel naso il profumo della zagara…Senza accorgermene passo davanti ai palazzi eleganti di Via XX Settembre, quella delicata compostezza, la stessa di mio nonno, quella che pare scomparsa da troppo tempo. La chiesa di S. Espedito è chiusa a quest’ora, le ombre dei parenti presenti al mio battesimo cancellate e vivono solo del mio improvviso ricordo: mi viene facile svoltare a destra invece di scendere verso viale della Libertà. Ho un intento preciso, passare davanti al Villino Ida del Basile per rivedere, nel silenzio mattutino, l’intarsio leggiadro del balcone in ferro battuto che guarda via di villa Trabia: passo in rassegna quel che pareva dimenticato, i desideri dei miei diciassette anni, le mie letture, le mie curiosità nascoste e sono davanti al numero 50 di via Siracusa, il regno della Sellerio Editore. 
Il tempo è relativo, qui lo è di più, cammino all’indietro e gli ampi spazi di villa Trabia accrescono l’ipnosi, vorrei che restasse l’illusione che niente fosse cambiato… Sono nato qui nella tarda mattina di 73 anni fa, a Palermo in via D.Costantino al num. 16, una parallela della via Notarbartolo. Sono nato a casa di mio nonno Vincenzo perché allora era questa la consuetudine assieme a tante altre ormai svanite nel tempo. Quella casa la ricordo bene, sento ancora l’odore buono del tabacco che don Vincenzo fumava seduto nell’ampia poltrona del soggiorno; la finestra spalancata sul grande giardino della villa del barone Pottino. 
Di alcune cose la memoria non ci lascia mai, sopravvive in una dimensione a se stante, indipendente da tutto. Lo sguardo d’acciaio di mio nonno e le sue mani enormi ad alzarmi il mento quando combinavo qualcosa fanno parte di essa. Concretamente non c’è più nulla di loro e di quel mondo; la camiciaia in via G. di Marzo se n’è andata 30 anni fa, le sue camicie su misura erano l’unica cosa che faceva sorridere don Vincenzo…le camicie in purissimo cotone bianco e forse qualcos’altro. Ricordo mia madre, un tempo lontano per entrambi, 
- Ho il cuore scuro- mi diceva certe mattine. Ed io - Perché?- Per niente- mi rispondeva, ma poi si correggeva- -Per i ricordi- 
Adesso sto qua e in cento altri luoghi; mi appartengono tutti e non ce n’è uno che non mi sfugga. Ho visto girare il sole sul cortile della mia vita e non mi è piaciuto: ma la luce di questo tramonto placido riesce ancora ad inebriarmi Una vera cittadinanza però non riesco a trovarla o, forse, non mi basta questa isolana. I siciliani stanno aggrappati orgogliosamente alle loro coste ma guardano fuori in un impossibile desiderio di comunione. Oggi mi deve bastare il mio riflesso sulla vetrina del negozio in via Libertà: a lui confesso la mia incredulità, li ho compiuti davvero! E’ bastato distrarsi un attimo, una piccola svista e l’anno in più è già qui…e io non sono preparato. Non lo sono stato mai. 
Sono venuto a salutare la mia città, la mia personale sensazione di vita, temo sia l’ultima volta così; i luoghi mi lasciano ed io cerco di precederli, regalo una lunghissima carezza sul selciato di queste strade. Non ho nessuno a cui raccontare lo strazio silenzioso di questi distacchi. Vedo allontanarsi anche i viaggiatori perché le persone prima o poi svaniscono ed io scrivo appunti di viaggio per non dimenticare, io come molti altri qua dentro o altrove, miniature di anime che sorgono al mattino fuori da una stanza, da una vita, da un desiderio quando il viaggio è appena iniziato e la mia città solleva lento il suo sipario. Siamo soli, incerti guardiamo nei fondi del caffè frammenti di discorsi interrotti ma il conto non torna mai…Anche adesso mentre annoto l’ennesima sconfitta mentre percorro il lungomare e il primo sole sfiora palazzo Lampedusa e la luce mi colora le gambe. Il mare da un lato la città dall’altro, è presto per nutrire dubbi ma io sono andato troppo lontano per avere il desiderio di tornare. Sei sola adesso tu? Nutro un ricordo feroce di te e non ti deve dispiacere, ci sono soli che nascono e muoiono senza memoria, soli che annegano in un vuoto temporale dove non c’è nemmeno una pagina, nemmeno un rigo. Io sono solo e tu forse dormi, tu non sei mai appartenuta a nessuna città ti mancano le parole per dire addio, tra un po’ non apparterrai a nessuna vita a niente che sia stato scritto. Voglio salvarti da questa inedia esistenziale. Forse mi sto innamorando e non lo volevo scrivere. Forse ti amo, sicuramente ti ho amato e questo largo silenzio dell’anima che ti culla stamattina è la prova che nemmeno la consuetudine dell’amore ci fa appartenere. Svolto verso la città, cammino lungo la sua storia e sono trasparente, invisibile a coloro che adesso ci abitano; nessuno di essi conosce la mia storia, nessuno ha sentito il giardino dietro il grande cancello, gli stucchi candidi dentro l’oratorio, l’inferriata piena di arabeschi del palazzo dimenticato dall’oggi e rivolto ad un passato inutile sempre più lontano. Qui di me non resterà nulla e la palma incisa nella tenue tappezzeria azzurra del cielo mi incoraggia a chiudere il cerchio. Della vita o del pensiero non ha più importanza, com’è possibile che io adesso sia sereno?