Non si ricordava più di se stessa.
La distanza tra la casa e la piazza era breve, quella tra l’oggi e il domani inutile, la sua essenza stava nascosta in una stradina laterale che lei non percorreva mai.
Il guscio era ciò che vedeva la gente: nient’altro che una superficie confusa tra le altre. Era lei che voleva così.
Era distante dal suo intimo: la luce poteva far male, la musica meno se assunta a piccole dosi. Ma la musica si era spenta, le ultime note in un’altra vita, in questa un chiassoso silenzio.
Un tempo aveva deciso di svanire: non potendo adeguarsi alla norma che vedeva attorno a sé, svanire e confondersi con lo sfondo era una soluzione. L’unica.
Il dolore lancinante e improvviso della perdita del padre era stato l’avvio del processo: troppo piccola per capire e digerire il lutto, abbastanza grande per tenersi addosso la solitudine.
Avrebbe avuto bisogno di una mano, di un sorriso diverso, di un gesto che non provenisse dagli spazi familiari, una spinta a vivere comunque, a costruire ugualmente, a essere viva. Così pian piano si era persa, la sua età fioriva, il suo corpo si modellava in quello di una ragazza ma non c’era l’eco del suo passaggio per la via. Si distanziava da se stessa impercettibilmente ogni giorno di più. Distanze comuni immutabili, le altre non pervenute.
Ma c’è sempre un segno, segreto, un’opportunità nascosta, un gesto non voluto che la vita regala. C’è l’attimo, il momento, c’è la vita che pulsa ugualmente anche contro il nostro volere. Così l’imprevisto si era presentato un giorno e tutto il prima condensato in una scatola chiusa posata su uno scaffale poteva avere adesso un senso e un futuro: perché non crederci? Perché non svoltare in quella stradina laterale sconosciuta e percorrerla fino in fondo?
Chi è solo sa, chi mangia solitudine conosce ogni sfumatura delle possibili delusioni in agguato, si sommano tra loro ed era per questo che lei si era dimenticata di se stessa.
Improvvisamente le ore giravano al contrario. Il tempo impazzito si era coagulato in uno sguardo, o era solo il desiderio?
Tu contavi i passi e non sembravano i tuoi, misuravi le emozioni ma la misura non bastava. Sconfessare il passato e investire tutto in questo improvviso presente, prima sembrava impossibile adesso fluiva naturalmente.
Quanto conta una stagione, quanto un intervallo dopo una parentesi?
Non ricordarsi di sé fu un gesto dovuto perché i sogni sono esclusivi, non c’è altro posto per loro che dentro il momento, tutto svanisce dietro di noi e la prossima svolta è un regalo o una morte prematura, così nel pomeriggio afoso e sospeso di questa estate ogni cosa è ferma: ti guarda in silenzio. Il momento è altrove, nessuno può conoscerne il destino. Le strade, gli oggetti, le parole, la luce sul marciapiede, il sole alto sopra il monte e la vallata, tutti i visi che sfilano in una rassegna non richiesta. La solitudine si è impossessata di te, crede di essersi presa tutto, lo pensano tutti e la ragazza lontana che non si ricordava più di se stessa fa finta di crederci allo stesso modo. Nascondersi agli assassini dei sogni segreti è l’unico mezzo per sopravvivere. Almeno un po’.
C’è un’altra certezza, è il risultato degli anni sprecati che adesso frusciano via al vento di scirocco: gli estremi, dopo essersi toccati, rimbalzano via lontano, l’intelligenza non paga, non abbastanza da modificare il tratto col quale tracciamo il cerchio. Ma il cerchio esiste, non in questa dimensione, non per questa esistenza, non serve dirlo, non lo si può raccontare; la ragazza non suonerà mai più la sua musica. Dimenticare, dimenticarsi lascia poche tracce che non interessano a nessuno. Solo a chi scrive di lei e della sua assenza.